Avete mai avuto il dubbio che un prodotto “eco-friendly” non fosse davvero così ecologico? Parliamone!
In questa epoca in cui la sensibilità ambientale è in costante crescita, e prestiamo attenzione anche al riuso e riciclo, stiamo diventando consumatori sempre più attenti alle tematiche della sostenibilità.
Tendiamo quindi a premiare le aziende che si impegnano concretamente per ridurre il proprio impatto sul pianeta però questa consapevolezza ha aperto le porte a un fenomeno insidioso: il greenwashing.
ll greenwashing è più comune di quanto pensiate e può trarre in inganno anche il consumatore più attento.
Con questo articolo vi aiutiamo a riconoscere questo fenomeno, spiegandovi quali sono le strategie più usate dalle aziende e come fare acquisti davvero sostenibili.
Continuate a leggere per non cadere nelle trappole del marketing verde!

Cos’è il Greenwashing e come riconoscerlo
Per comprendere questo fenomeno quantomeno poco etico, è fondamentale partire dalla sua definizione.
Il greenwashing è quando un’azienda fa sembrare i suoi prodotti o le sue attività più ecologiche di quanto siano realmente.
Usa pubblicità, etichette o messaggi ingannevoli per convincere i consumatori di essere sostenibile, senza però fare veri sforzi per l’ambiente. È una sorta di “trucco verde” per attirare chi vuole fare acquisti più responsabili.
Come si riconosce il greenwashing? Non è sempre facile, perché le aziende ricorrono a strategie di comunicazione molto sofisticate.

Un primo segnale è l’uso di affermazioni vaghe e generiche, con termini come eco-friendly, naturale o green, che non sempre corrispondono alla realtà del prodotto o del servizio offerto.
A questo si aggiunge la mancanza di prove e certificazioni: molte aziende evitano di fornire dati concreti e riconoscimenti ufficiali, lasciando i consumatori senza strumenti per verificare la veridicità delle loro dichiarazioni.
Un’altra strategia comune è il focus su un singolo aspetto “green”, come l’uso di packaging riciclato, per distogliere l’attenzione da pratiche meno sostenibili.
Infine, le immagini fuorvianti, come paesaggi naturali o animali selvatici, possono creare un’illusione di sostenibilità, anche quando il prodotto non è realmente ecologico.
I “sette peccati capitali” del Greenwashing
Per rendere ancora più chiaro il concetto, possiamo rifarci ai “sette peccati capitali” del greenwashing, individuati da TerraChoice, un’organizzazione ambientalista canadese:
1. Peccato di omessa informazione (Hidden Trade-Off):
Questo peccato si verifica quando un’azienda enfatizza il singolo lato ecologico di un prodotto, trascurando altri impatti ambientali significativi.
Ad esempio, un prodotto realizzato con carta riciclata potrebbe essere promosso come “sostenibile”, ignorando l’elevato consumo di energia e acqua del processo di produzione.
2. Peccato di mancanza di prove (No Proof):
Quando un’azienda fa affermazioni ambientali senza fornire prove concrete o certificazioni di terze parti come dichiarare un prodotto “eco-friendly” o “naturale” ma senza portare dati verificabili.
Dichiarare senza prove è ingannevole, e sottintende la volontà di non voler rendere verificabili le proprie affermazioni.
3. Peccato di vaghezza (Vagueness):
L’uso di termini ambigui e generici, come “verde” o “sostenibile”, senza una definizione chiara possono essere facilmente fraintesi e non forniscono informazioni utili ai consumatori.
Queste terminologie non meglio definite lasciano libero arbitrio all’interpretazione, e quindi la possibilità di far credere ciò che non corrisponde al vero.
4. Peccato di adorazione di false etichette (Worshipping False Labels):
Questo peccato si verifica quando un’azienda crea false etichette o utilizza simboli che imitano marchi ambientali riconosciuti.
L’obiettivo è indurre i consumatori a credere che il prodotto sia certificato, quando in realtà non lo è.
Creare ad arte finte certificazioni, o etichette con valenza di certificazione, trae in inganno il consumatore, che crede di acquistare un prodotto con caratteristiche che in realtà non ha.
5. Peccato di irrilevanza (Irrelevance):
In questo caso l’azienda fa affermazioni ambientali vere, ma irrilevanti per la sostenibilità del prodotto.
Ad esempio, un prodotto “privo di CFC” (clorofluorocarburi) potrebbe essere promosso come ecologico, nonostante i CFC siano vietati da anni.
Viene utilizzata una caratteristica ininfluente ai fini della sostenibilità, per creare un collegamento mentale con essa.
6. Peccato del minore dei mali (Lesser of Two Evils):
Questo peccato si attua nella promozione di un prodotto come “più ecologico” rispetto ad altri prodotti della stessa categoria, pur rimanendo dannoso per l’ambiente.
Ad esempio, un’auto ibrida potrebbe essere promossa come “verde”, nonostante contribuisca comunque all’inquinamento.
Si punta a far passare un prodotto come sostenibile, solamente perché meno impattante di altri della stessa categoria.
7. Peccato di mentire (Fibbing):
Questo peccato, il più grave, si verifica quando un’azienda fa affermazioni ambientali false e ingannevoli.
Si tratta di una vera e propria truffa, che danneggia la fiducia dei consumatori e mina gli sforzi per la sostenibilità.
Comprendere questi “sette peccati” è importante per diventare consumatori consapevoli e responsabili.
Nel mondo di oggi, saturo di messaggi ecologici, la capacità di capire qual è la vera sostenibilità dal greenwashing è fondamentale.

Perché il Greenwashing è dannoso?
Il greenwashing non è solo una pratica scorretta dal punto di vista etico, ma ha anche conseguenze negative concrete.
I consumatori, in primis, vengono ingannati da informazioni fuorvianti, spendendo di più per prodotti che in realtà non sono sostenibili.
Inoltre la pratica del greenwashing danneggia anche l’ambiente, rallentando la transizione verso un’economia più verde e premiando aziende che non si impegnano davvero nella riduzione del loro impatto ambientale.
A pagarne il prezzo sono anche le imprese oneste, che investono in pratiche realmente sostenibili ma subiscono la concorrenza sleale di chi si limita a fare marketing “verde”.
Infine, il danno alla fiducia dei consumatori nelle aziende e nelle istituzioni rende ancora più difficile affrontare le sfide ambientali in modo serio ed efficace.
Esempi eclatanti di Greenwashing
La storia recente è piena di esempi di greenwashing, alcuni dei quali hanno avuto una grande risonanza mediatica.
Volkswagen: lo scandalo del Dieselgate
Nel settembre 2015, l’Agenzia per la Protezione Ambientale degli Stati Uniti (EPA) scoprì che Volkswagen aveva installato un software nei motori diesel per manipolare i test sulle emissioni.
Questo dispositivo riduceva le emissioni durante i test, ma durante la guida normale le auto emettevano fino a 40 volte più ossidi di azoto rispetto ai limiti legali.
Circa 11 milioni di veicoli in tutto il mondo furono coinvolti, con conseguenze legali e finanziarie significative per l’azienda.
H&M: accuse di greenwashing sulla linea “Conscious”
Il gigante svedese del fast fashion, H&M, è stato accusato nel 2022 di greenwashing per la sua linea “Conscious”.
Sebbene promossa come sostenibile e realizzata con materiali riciclati, critici hanno sostenuto che l’azienda operò secondo un modello di produzione insostenibile, caratterizzato da un’elevata velocità di produzione e consumo.
Nello stesso anno, una class action negli Stati Uniti ha accusato H&M di pratiche commerciali ingannevoli riguardo alla sostenibilità della collezione “Conscious Choice”.
Coca-Cola, Danone e Nestlé: denunciate per greenwashing dalla BEUC
Nel novembre 2023, l’Organizzazione Europea dei Consumatori (BEUC) e associazioni membri di 13 paesi hanno denunciato Coca-Cola, Danone e Nestlé alle autorità dell’UE per affermazioni ingannevoli sulla riciclabilità dei loro prodotti.
Le aziende promuovevano le loro bottiglie d’acqua come “100% riciclabili” o “100% riciclate”, inducendo i consumatori a credere che le bottiglie fossero interamente realizzate con materiali riciclati o completamente riciclabili.
In realtà è tecnicamente impossibile riciclare le bottiglie di plastica al 100% e in ogni caso, rimarrebbero comunque bottiglie che impattano nell’ecosistema se non smaltite in maniera adeguata.
Tuttavia, secondo BEUC, queste affermazioni non rispettavano le norme europee sulle pratiche commerciali sleali.

Questi sono solo alcuni esempi, ma il greenwashing è un fenomeno diffuso in molti settori, dall’alimentare alla cosmetica, dall’energia all’abbigliamento.
Come difendersi dal Greenwashing
Di fronte a questo scenario, è importante che i consumatori siano consapevoli e sappiano come difendersi dal greenwashing. Ecco alcuni consigli utili:
- Informarsi: prima di acquistare un prodotto o un servizio, è fondamentale documentarsi sull’azienda e sulle sue pratiche di sostenibilità.
- Leggere le etichette: attenzione alle affermazioni vaghe e generiche. Cercate informazioni precise e verificabili.
- Verificare le certificazioni: assicuratevi che le certificazioni ambientali siano rilasciate da enti riconosciuti e indipendenti.
- Diffidare dei prezzi troppo bassi: la sostenibilità ha un costo. Se un prodotto “ecologico” ha un prezzo significativamente inferiore rispetto alla media, è probabile che ci sia qualcosa che non va.
- Segnalare il greenwashing: se sospettate che un’azienda stia facendo greenwashing, potete segnalarlo alle autorità competenti o alle associazioni dei consumatori.
Conclusioni: verso un futuro più sostenibile
Affrontare il greenwashing è una responsabilità che coinvolge tutti: i consumatori, le aziende e le istituzioni.
Noi consumatori dobbiamo essere più consapevoli e informati, scegliendo e premiando le aziende che dimostrano un vero impegno per la sostenibilità.

Le aziende, dal canto loro, devono adottare pratiche di produzione e consumo responsabili, evitando messaggi fuorvianti e comunicando in modo trasparente le loro iniziative ambientali.
Infine, le istituzioni hanno il compito di rafforzare le normative contro il greenwashing, incentivando la diffusione di una cultura della sostenibilità e garantendo controlli più severi sulle dichiarazioni ambientali delle imprese.
Aspettiamo di sapere se anche voi vi siete accorti di alcune pratiche poco chiare di aziende più o meno note. Condividete nei commenti le vostre segnalazioni, più si parla di questo argomento e prima si arriverà a migliorare il mondo dove viviamo.
Articolo scritto da Cri